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Come mi hai insegnato l’arte…

Le persone hanno ruoli differenti nelle nostre vite che si definiscono, si sviluppano e cambiano nel corso degli anni.

Chiunque incontriamo nel nostro cammino, anche se inconsapevolmente, lo condiziona conducendolo verso nuove prospettive.

C’è chi ti cresce, chi ti sta a fianco, dicendo tante parole su alcuni argomenti e tacendone altri. In tale contesto il non verbale diventa il protagonista.

Le parole non dette si contrappongono alle azioni compiute.

In questo modo ho compreso, scoperto e mi sono lasciata affascinare dall’arte, dalla creatività.

La persona che mi ha condotto verso questo mondo facendomi scoprire questa passione è un uomo dalle frasi non dette e dalle azioni compiute. Lui che scoprendo, quasi per sbaglio, come il colore si unisca alla materia, ha iniziato a creare, a sporcarsi le mani sviluppando un percorso personale di sperimentazione…

La sua è una storia da raccontare, ma soprattutto da vedere, da toccare con mano per riuscire a lasciarsi abbracciare, coinvolgere e cullare dalla fusione di forme e materiali che delineano il suo es artistico più profondo e – verosimilmente – più reale.

Il tutto per lui è iniziato per caso quando ha trovato una scatola di suo padre contenente alcuni tubetti di pittura ad olio.

Oggetti che non aveva mai visto impugnare direttamente dall’uomo, ma che usava nel passato, la moglie ricorda che in passato aveva dipinto una spiaggia…

Curioso li ha presi in mano. Ha sperimentato la novità. Ne è rimasto incantato. Sensazioni ed emozioni. Piacere.

Ad accrescere e ad incentivare questa sua dedizione è stata, ancora una volta, la vita, il fato…. l’incontro alla scuola media col professore di disegno, pittore discretamente noto nella valle in cui viveva.

Questi era un uomo apprezzato dai terzi, ma non dagli alunni perché non propenso ad usare un approccio puramente didattico, ma preferiva mostrare i propri lavori e si divertiva ad alternare questa esaltazione della sua creatività con richieste agli studenti di “opere” e compiti impossibili, come il collage su fogli neri.

Si ricorda quell’episodio che ha costituito per lui una richiesta sfidante poiché risultava quasi impossibile evitare gli aloni della colla ma la provocazione mi intrigava e non demordevo.

Incollare quelle forme geometriche dai colori intesi sul foglio nero gli è servito per comprendere la sua profonda natura ed interesse andando a delinearsi come un vero e proprio allenamento.

Il rispetto e l’ammirazione che ho per gli artigiani l’ho acquisita da lui, che riconosce in queste persone una vera e grande genialità.

A portalo a disegnare probabilmente è stato l’unione di questi elementi, di questi fattori avvalorati dall’insegnamento che suo padre gli ha dato che vale per lo studio così come per il lavoro che per qualsiasi attività… “i lavori non si insegnano si rubano”.

Osservarlo delineare forme, volumi, tratti. Opere finite a non finiti mi affascina. Da 31 mi dà emozioni, altalenanti, ma probabilmente crescenti. Soprattutto vere.

“Riempire di linee e colori una tavola penso sia una cosa comune a tanti, come lo è per i bambini, ma se diventa una passione/piacere inevitabilmente apri lo sguardo: tutte le immagini diventano affascinanti dai quadri più celebrati alle foto più banali, da uno splendido tramonto a un muro rovinato dall’incuria.” Lui afferma.

Io credo sia molto di più perché questo sottende il coraggio di comunicare, di provare.

Emettere suoni, parole è semplice. Creare emozioni col non verbale non è scontato.

Per lui l’arte, la creatività non è solo esperienza manuale e diretta, ma anche cultura. Presenta interesse verso il processo di acquisizione di conoscenza della storia e delle “spiegazioni” dell’arte un approccio suo e personale. L’informazione fine a sé stessa non gli interessa, non gli appartiene, tranne nel caso in cui questa sia direttamente connessa ad una percezione, un’emozione anche prima di motivazione.

Numerosi sono gli influssi che ha incontrato, abbracciato e anche rivisto nel corso di questo suo percorso. Quello che lui ricorda come fondamentale è quello col mondo fiammingo “Quando avevo circa 18 anni, a Venezia, mentre visitavo un museo, guardavo con alterno interesse i quadri appesi alle pareti finché non mi sono imbattuto in un piccolo quadri di Bosch. Non era una presenza forte, non attraeva per colori o composizione, ma mi affascinava e basta. Le ragioni non le conosco e non le voglio nemmeno sapere, ma è bello essere attratti e non cercare una motivazione. È un po’ come quando ami.”

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Nonostante la sperimentazione costante la variazione delle scelte dei materiali che l’hanno condotto a provare “di tutto” non ha mai reso questa passione una professione “Mi piace fare e per me questo è sufficiente. Ho una consapevolezza tutta mia sui risultati raggiunti e forse non ho nemmeno voglia di confrontarmi con gli altri. Reputo che sia questo mi permette anche di sospendere un lavoro quando non ho più stimoli per finirlo. Sì, il divertimento è l’atto del pensare e del fare, nei gesti che compio nell’evolversi del lavoro. Mi basta il fugace confronto con i miei cari.”

Osservando le sue opere mi piace paragonarlo ai grandi artisti del passato che per scelta lasciavano parte delle opere incompiute.

Una comparazione che mi sovviene non per una questione di talento o per lo stile. Una connessione che mi sovviene per la mera e sola scelta del non finito che identifica alcuni suoi lavori.

A quadri che si contraddistinguono per una cura maniacale, una quasi eccessiva ricerca del dettaglio e dell’accessorio aggiuntivo conclusivo si oppongono opere con parti mancanti. Anche lui non sa cosa lo guidi in quanto non sa motivarlo e questa scelta non gli crea una sensazione di discontinuità. Afferma “È un po’ come incontrare amici; è bello vedersi ma non li vedo tutti i giorni ma esistono (amici e amicizia) anche nei periodi in cui non ci si vede o non ci si sente.” Mi sono posta molte volte questo quesito, ma sono arrivata ad una conclusione.

È un artista e basta.

Il mio artista.

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Francesca Rizzi

Consulente Manageriale
& Sustainability Manager

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