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Kosmos il progetto di Albarosa

Albarosa Gatti è una giovane fashion designer di Torbole Casaglia, un paesino in provincia di Brescia, che si è diplomata come tecnico della moda e dell’abbigliamento e laureata in design del prodotto alla LABA di Brescia. Oggi è una libera professionista e ha aperto Kosmos opensource.fashion, il suo laboratorio artigianale dove insegna sartoria e varie tecniche per autoprodurre abbigliamento e accessori.

Conosciamola insieme

Come è nata la tua passione per la moda e per la creatività? Non credo che la passione per la creatività sia una cosa che possa nascere. Ogni essere umano è creativo fin da bambino, la differenza tra un adulto che da valore alla sua creatività o meno sta nell’ambiente che lo ha circondato nel periodo della crescita. Io sono cresciuta con una nonna sarta, in una famiglia che da molto valore all’arrangiarsi nel costruire e riparare oggetti (dai vestiti, ai giocattoli, fino ai computer), penso sia questo che mi ha dato la possibilità di diventare un’adulta creativa.

 

Raccontaci l’inizio della tua attività… Ho deciso di mettermi in proprio dopo 3 anni di lavoro nel campo del design di prodotto. In quel periodo non avevo un laboratorio mio ed ero ospite di 639, associazione culturale in via Milano a Brescia, dove ho iniziato ad organizzare corsi di cucito per sostenere l’associazione. Il mio obiettivo iniziale era quello sviluppare un brand basato sul mio progetto di laurea: un sistema di abbigliamento modulare, zero waste e riproducibile in casa da chiunque, ma iniziando ad insegnare ai corsi di cucito in associazione il mio progetto ha preso vita e ha seguito un’altra strada.

Come mai hai deciso di focalizzarti sul riciclo? Ho iniziato a riciclare proponendo progetti di refashion ai corsi in associazione e iniziando a discutere e ragionare sul tema con le ragazze dei corsi. Inoltre, nel mio percorso di studi in accademia avevo già compreso l’importanza della sostenibilità ambientale.

Più che una scelta, il fatto di focalizzarsi sul riciclo, è stato il risultato di un percorso logico. Progettare e produrre una qualsiasi cosa, al giorno d’oggi, non ha senso se non si tiene conto dell’impatto ambientale. (Notare che la frase non inizia con “secondo me”)

Chi sceglie il tuo brand? Non direi che il mio è un brand. Anzi, in un periodo come questo in cui qualsiasi cosa è brandizzata, pubblicizzata, sponsorizzata, voglio allontanarmi il più possibile dall’idea di brand. Le persone che mi scelgono infatti sono persone casuali, un po’ come succedeva una volta nelle botteghe delle sarte: non avere un brand per me vuol dire anche avere a che fare con tante persone molto diverse tra loro e di conseguenza arricchirsi di tante esperienze diverse a livello umano.

Cosa vuoi comunicare tramite le tue creazioni? Il mio obiettivo è condividere e tramandare tutte le mie esperienze riguardo all’abbigliamento. Gli abiti che faccio corrispondono semplicemente a quello che il cliente mi chiede di volta in volta. Voglio cucire abiti che rispecchino la personalità e i gusti di chi li porta, non i miei, perché non penso che il mio gusto estetico sia superiore a quello di qualcun altro.

Nei capi sperimentali che produco invece cerco di sviluppare quello che mi comunica il materiale dal quale parto, coniugandolo con tecniche tradizionali di diverse culture

Parlaci della scelta dei materiali… I materiali che utilizzo per gli abiti su misura vengono spesso scelti e acquistati dai clienti direttamente nei centri scampoli. Io in genere consiglio a tutti i miei clienti e alle ragazze dei corsi di acquistare tessuto di scarto o i tessuti sostenibili (davvero sostenibili) di Maeko. Un’azienda Italiana davvero attenta alla sostenibilità dei suoi prodotti.

Per i capi sperimentali utilizzo i miei vecchi vestiti e quelli di parenti e amici.

Quali sono le principali sfide e difficoltà che una fashion designer come te deve affrontare quotidianamente? Oggi secondo me è molto difficile far comprendere al cliente il valore monetario del lavoro che richiede, insomma farsi pagare nell’era del fast fashion è davvero difficile, dato che le persone sono abituate a pagare un abito poche decine di euro. Ancora più difficile è far capire al cliente che compra anche fast fashion che se un vestito costa poco è perché a pagarne il prezzo sono altri: gli operai che li fabbricano e chi abita vicino alle fabbriche in condizioni di inquinamento ambientale disumane. Inoltre ho notato che è davvero difficile attraverso i social trasmettere l’etica e i valori del mio progetto senza proporre prodotti pronti al consumo o porsi da influencer.

Per fortuna i primi due problemi riesco a risolverli in parte tramite i corsi di sartoria, che spesso si trasformano in dibattiti, mentre sul terzo c’è un lavoro più consistente da fare, ma sto iniziando a lavorare anche a quello.

A quale target di clientela ti rivolgi? Non mi rivolgo a nessun target. Mi rivolgo alle persone che per caso sono interessate a quello che faccio e dopo quattro anni posso assicurarti che sono tutte molto diverse tra loro e cercare di targettizzarle sarebbe impossibile.

 

Progetti per il futuro? Sto pensando di iniziare a collaborare con le aziende di moda che producono a livello industriale, per fargli scoprire che siamo nel 2021 e ci sarebbero giusto un paio di cosine da cambiare.

 

Attualmente dove possiamo trovarti e acquistare le tue creazioni? Il mio laboratorio è in via Zara 99 a Brescia: qui organizzo corsi di sartoria, maglia e altre tecniche e produco abbigliamento solo su misura. Ho anche un negozio online su etsy, dove si possono acquistare cartamodelli digitali e manualetti scritti da me, per imparare a creare capi inusuali (tra cui il manuale di modellistica per il passamontagna di cui vado particolarmente fiera).

Sul mio profilo instagram kosmos.opensourcefashion potete trovare tutti i miei capi e il link allo shop.

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Francesca Rizzi

Consulente Manageriale
& Sustainability Manager

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