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Faccio ciò per cui sono nata: creo. Elisa

Elisa, nata a Vigevano, ma residente – da tempo – Palermo.

Una designer dove l’atto del creare costituisce parte integrante del suo es e della sua vita. Proveniente da studi umanistici, dove la storia dell’arte era solo teorica, Elisa ha però sempre creato praticamente: ha sperimentato l’estetica solo come passione personale passando dal restyling di mobili e oggetti (che ancora oggi costituiscono parte dei prodotti offerti nel suo laboratorio), alla pittura a china, e ai gioielli.

 

Dopo il diploma la giovane ha trascorso un periodo in Scozia, che ad oggi considera la sua terra.  Probabilmente la Sicilia aveva dei “colori troppo forti” per la designer che ha effettivamente iniziato ad apprezzare davvero quel luogo solo da poco tempo. Per Elisa la Scozia, invece, con le sue luce ed ombre, capaci di rendere ogni singolo elemento magico la percepiva più vicina poiché il gioco di colori la faceva sentire “vicina a toccare l’intangibile”.

Elisa ama leggere i romanzi gotici, ambientati in epoche passate, e – in particolare – è affascinata dalla letteratura inglese, russa e americana. Tra i pittori preferiti della designer emergono i preraffaelliti, e gli artisti delle avanguardie; epoche Rinascimento, Medioevo, periodo celtico, anni ruggenti e l’epoca vittoriana) a cui la designer è legata…

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Raccontandomi questi aspetti del suo “essere” la designer afferma “Scelgo di parlarti di tutto questo perché queste passioni sono visibilmente racchiuse in tutte le mie creazioni.” Continua “…ho viaggiato moltissimo, lavorando come hostess e come store manager presso navi da crociera… ho visto quasi tutto quello che i miei occhi bramavano vedere, dal Polo Nord alla Russia sino ai Fiordi, ma bramo di vedere ancora molte cose, di viaggiare perché rinnova il mio spirito creativo.”

Conosciamo meglio Elisa…

Come è nata la tua passione per la creatività? E per la moda? “Probabilmente può sembrare scontato, ma ammetto che fin da piccola manifestavo un senso dell’estetica fuori dal comune, però è andata in questo modo… Sai, mettevo il borotalco di mia nonna sul viso perché la sua cipria non mi rendeva eterea come volevo e odiavo il fucsia, il colore per cui le altre bambine – invece – impazzivano. Mi ritrovavo ad essere chiamata più volte perché tendevo a “perdermi” nel mio mondo, un mondo fatto di bellezza, nebbia e mistero. Credo di essere molto fortunata perché nonostante crescessi non ho mai perso questa mia peculiarità. Ricordo che avevo una pila di quaderni nel quale disegnavo abiti da sera, mio nonno mi guardava e, divertito, mia chiedeva se volevo fare la stilista e, io, gli rispondevo di sì, come fosse stato un obbiettivo facile da raggiungere. Ero interessata, soprattutto, ad immortalare volti di donna e per questo motivo ne ho disegnato tantissimi e oggi continuo a farlo. Nonostante abbia sviluppato un percorso diverso oggi “sono finita a fare quello che avrei dovuto fare fin dall’inizio, quello per cui sono nata”: CREARE.”

 


 

Raccontaci l’inizio della tua carriera come designer… cosa ti ha spinto ad entrare in questo mondo? “È bello pensare che tutte le persone che mi hanno intervistata mi chiamino designer, ma essendo un autodidatta mi sembra di non meritare a pieno questo appellativo. Lavoravo  nel settore del turismo e quando sbarcavo creavo gioielli che pian piano sono diventati più articolati e, così, da sola ho cominciato a studiare tecniche diverse, passando ore su libri e video… Ho cominciato anche a scrivere di moda e storia della moda per un sito di intrattenimento on line, VERVEMAGAZINE. Poi, ad un certo punto – girando per i negozietti d’artigianato della mia città – mi sono accorta che il mio livello era (in molti casi) superiore ad artisti che avevano fatto delle scuole specifiche e che ero riuscita ad inventare pezzi unici, nuovi e innovativi. Acquisita questa consapevolezza mi sono guardata dentro e mi sono detta: “Perché non io?!”. Non è stato necessario molto tempo: detto fatto. In poco tempo ho aperto il mio laboratorio. Devo ammetterlo, la spinta primaria è stata dare uno sguardo alle botteghe della mia città e scoprire di non voler acquistare nulla perché non trovavo qualcosa capace di farmi restare a bocca aperta.”

 

Per quale motivo hai deciso di focalizzarti sulla produzione di bijoux? “Il gioiello è, subito dopo la pittura e il disegno, la prima cosa che un autodidatta sceglie nel proprio percorso. Si inizia dalle piccole cose. A volte le riguardo e dando un’occhiata ai gioielli che oggi realizzo ho difficoltà a credere che sono davvero io l’artefice. Sono l’unità di misura della strada che ho fatto, mi do forza per andare avanti e per creare ancora fiduciosa e desiderosa che la mia fiamma creativa rimarrà per sempre accesa. Realizzo anche oggettistica come altered bottles, ma quelle non possono sfilare. Io voglio la passerella.”

 


Hai sempre voluto focalizzarti su questo tipo di prodotto?“È stato un percorso naturale e graduale, il mondo del gioiello handmade è vasto e c’è ancora molto da inventare; finché non esaurirò le idee proseguirò in questo settore.”
 

In una prospettiva futura pensi di ampliare la tua offerta (ampliare la gamma ad altri prodotti tipo abbigliamento)? “Questa domanda ha una tempistica eccezionale, ultimamente per una sfilata a cui ho partecipato come designer di gioielli sono stata accostata ad abiti per nulla affini al mio concetto di moda. Da tempo ho tutto chiaro nella mente: alcuni bozzetti sono pronti, ma disegnare l’abito è una cosa mentre per realizzarlo servono competenze, che non possiedo ancora. Sulla base di questo obiettivo, ho deciso di frequentare un corso e, chissà… magari tra qualche anno farò sfilare insieme ai miei gioielli anche i miei abiti. I gioielli devono sfilare insieme ad abiti alla loro altezza, sennò è tutto sprecato.”

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Ben 15 collezioni sinora. Parlaci della tua ispirazione…“Sì. Tante a dir la verità, ma la cosa stupefacente è che sono tutte diverse tra loro. Solitamente un designer realizza sempre lo stesso genere, perché vuole essere riconoscibile, io – invece – ho tentato di essere riconoscibile con collezione distanti tra loro, e reputo di esserci riuscita.

La prima tecnica che ho usato (che mi dà costantemente soddisfazione) è la tessitura con ago e filo a cui ha seguito la tecnica wire (della collezione Anchestral Chic, La Celtica e Wire Baroque). Per altre linee come la Origami e la Indian Shape, di chiara ispirazione orientale, ho usato degli intrecci di raso combinati a cristalli, perle pietre semipreziose, resine e metalli. Infine, le collezioni “cardine” la Charleston e la Opulence che seguono gli anni ruggenti. Dovrebbe essere per me naturale disegnare le mie creazioni: ho sempre creato in maniera diversa immaginandole nella mia mente, comprese le tecniche per realizzarle e la scomposizione delle geometrie da un modulo tridimensionale alle varie parti che lo compongono. È una questione di geometria e di fisica. Per natura sono molto curiosa e traggo ispirazione da film, dalla musica (per la quale ho un vero e proprio trasporto), da un colore, da un’atmosfera, insomma… da qualsiasi cosa che mi scuota l’anima. Ad esempio, la collezione Charleston è nata guardando un film tratto da un romanzo di Agatha Christie, la collezione Indian Shape osservando i colori delle vesti durante una festa indiana svoltasi a Palermo.  Eleganza, regalità, austerità, poetica malinconia, magia, queste sono le parole per descrivere le mie creazioni.”

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La tua ultima collezione si ispira al barocco. Come mai? Cosa ti affascina del barocco? “La collezione La Barocca, è nata in seguito ad una richiesta di un professionista del settore interessato a vendere i miei gioielli presso la sua boutique milanese di prossima apertura (non posso anticipare nulla finchè il progetto non sarà del tutto realizzato… posso anticipare che questa collezione non farà parte del brand Elision perché non sarà presente nel mio atelier a Palermo, ma sarà disponibile solo nel punto vendita della capitale lombarda, diciamo che è una sorta di capsule collection che uscirà come brand separato.”

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Parlaci del messaggio che desideri comunicare
… “La gente va di fretta, non ha tempo per perdersi nei sogni per ammirare la bellezza, mentre io voglio donare bellezza: il mio atelier non è solo in atelier. Ho curato personalmente l’allestimento degli interni, dipingendo delle mongolfiere, create da vecchie lampadine in modo da abbellire gli oggetti che ho collezionato nei miei viaggi per ricreare quel luogo che – tante volte – si era stagliato limpido nella mia mente. Ho cosparso lo spazio con fiori selvaggi e piume nere, sono riuscita a dargli quelle allure malinconica, impolverata e oserei dire sognante, che poi rappresenta ogni singolo frammento della mia personalità. La gente guarda il mio atelier rapita ed entra col naso all’insù guardando i decori che rendono questo posto unico a Palermo. Per quanto riguarda i miei gioielli sono pensati per una donna piena di speranza e sognatrice che ama perdersi nelle epoche passate, che si sente un po’ regina anche se fa un lavoro umile. Perché regine si nasce, e chi ha un occhio allenato lo nota nelle movenze, nella naturale eleganza…poi magari la vita ti fa fare la cameriera ma se sei regina lo rimarrai sempre…”

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Parlaci del naming del tuo brand…ha un significato preciso? Quale?“Elision. Tutti pensano che si riferisca al mio nome Elisa, ma in realtà mi sono ispirata ai Campi Elisi. Il nome del mio atelier Emporio Varietas l’ho preso da una rivista degli anni ‘20 “Varietas”. Volevo un nome che sapesse di antico per descrivere un luogo che tratti diversi tipi di prodotti handmade: non produco solo gioielli, ma anche mobili a cui ho dato una seconda vita, bottiglie di liquore vuote diventate dei veri e propri gioielli unici, quadri dipinti da me è tanto altro.”

Chi sceglie il tuo brand? “Quando ho aperto il laboratorio pensavo, alla gente del luogo, ai privati, ma poi ho scoperto di suscitare interesse per mercati esteri e nord italiani. Oggi mi contattano i proprietari di negozi o i distributori di brand che vorrebbero commercializzare i miei prodotti per un mercato medio alto. Una volta mi ha contattata un sito e-commerce famoso in tutto il mondo… pensavano avessi una fabbrica, ho così dovuto gentilmente declinare poiché lavorando da sola mi risulta impossibile realizzare un numero così elevato di prodotti. Ad oggi posso fare solo delle piccole produzioni. Devo ammettere che questa situazione/contatto mi ha lusingato perché mi ha dimostrato di aver raggiunto l’obiettivo prefissato ovvero aver creato un prodotto” alto”. A Palermo si ha un falso concetto di artigianato. Credo che si debba capire quando l’artigianato è vero ma nella maggior parte dei settori esso deve avere la stessa levatura di un brand vero e proprio, non deve essere casalingo, rattoppato. Molte donne – ad esempio – si cimentano nel restyling dei mobili, ma si vede lontano un miglio che hanno dato delle pennellate qui è lì sperando di aver creato il così tanto bramato effetto shabby. Il cosiddetto stile trasandato è molto difficile da ricreare, non si possono dare delle scartavetrate qui è lì e pretendere che sia allo stesso livello di mobili di fabbrica; la finta trascuratezza viene data da abili pennellate che sembrano casuali ma che casuali non sono. Insomma… artigianato non vuol dire improvvisato.”

 

 

Quali sono le principali sfide e difficoltà che una fashion designer come te deve affrontare quotidianamente? “Vorrei parlare di due difficoltà, una di carattere tecnico e una di tipo territoriale. Molto spesso immagino l’oggetto nella mia mente così tutto risulta chiaro, ma poi si scontra con la forza di gravità e scopro che il materiale che avevo pensato di usare non è adatto o che la collana cade male… in questo contesto iniziano tutta una serie di tentativi affinché il prodotto realizzato sia il più vicino possibile a quella che era l’idea iniziale, ma penso che questo problema accomuni tutti i creativi. Il problema territoriale…. davvero spinoso. Amo Palermo, non fraintendete le mie parole, ma non digerisco i palermitani e lo dico parlando da palermitana. Prima di aprire il laboratorio, venivo contattata dall’upper class palermitana interessata ai miei lavori, atelier private che vantavano un nome blasonato nel territorio o da imprenditori molto conosciuti… però, quando mi dirigevo col campionario per i vari atelier aspettavo per ore per essere ricevuta e poi scoprivo che volevano vedere le creazioni più complesse da vicino per cercare di estorcermi il nome della tecnica in modo da ricrearla…volevano solo rubarmi l’idea. Così ho smesso di girare e accetto contatti di lavoro, ma mi rifiuto categoricamente di entrare in contatto con i blasonati di Palermo. Questa città è piena di soggetti che ambiscono a rubare l’idea al piccolo che non può difendersi. Questo dimostra che coloro che hanno i soldi non hanno idee o qualità per portare avanti un impero, per quanto piccolo! Non è un caso che aziende fiorenti fondate dagli antenati a Palermo falliscono col passaggio generazionale poiché cadono nelle mani di eredi incompetenti. La “stoffa” visionaria del commerciante o quella del creativo non si eredita per discendenza.”

Quale è lo stile più lontano da te e quali sono i termini in voga ma abusati? “Non amo lo stile etnico come lo si concepisce a Palermo dove “etnico” significa Africa. Per me etnico vuol dire appartenente ad etnie diverse, come India Asia, Medio Oriente. Gli oggetti ecosostenibili, altro trend in voga ovunque, ma completamente travisato almeno nel mio territorio… Io, per prima, sono a favore del riciclo: i miei mobili, le mie bottiglie, i decori provengono da riciclo, ma ho notato ultimamente che la sostanza è diventata più importante della forma. Credo che questo nella moda non debba accadere e tutto quello che ho visto io fin’ ora sono pezzi da centro sociale, senza nessuna bellezza. Non mi interessa indossare una collana fatta di legno o di plastica oppure una borsa fatta di stoffe diverse se queste fanno a pugni tra loro. Sono a favore del riciclo, ma di stile. È lo stesso concetto del “km zero”: la gente si allontana perché sa che un barattolo di marmellata lo pagherà come oro. Se hai fatto una borsa con materiale riciclato e un prodotto caseario col latte della tua mucca hai speso meno rispetto agli altri, ma perché – allora – venderlo a prezzi smodati?! La gente andrebbe educata a dare il giusto valore alle cose a non farsi spillare cifre esorbitanti!”.Gli unici casi in cui l’oggetto riciclato può essere venduto a cifre molto alte sono rappresentati da due fattori: innovazione e bellezza sfolgorante ma a quel punto si tratta di un oggetto divenuto prezioso anche se fatto da materiali provenienti da riciclo.

 

Progetti per il futuro? “Comincerò a studiare taglio e cartamodello, tra qualche tempo parteciperò a qualche settimana della moda. La MFW è stata un grande orgoglio per me, vorrei approfittarne per ringraziare l’associazione culturale Art Nobless con cui ho partecipato a questa importante manifestazione. Anticipo l’uscita di due mie nuove collezioni: Garden District, collezione fatta con tessuti delicati e impalpabili, ed una collezione dedicata alla Sicilia, una Sicilia fatta di nobiltà poiché la mia isola non è solo di carretti e arance.”

Attualmente dove possiamo trovarti e acquistare le tue creazioni? “
Nel mio atelier EMPORIO VARIETAS di Palermo (via Napoli 45), contattandomi telefonicamente (+39 333 5241007) … inoltre spedisco in tutto il mondo…!”

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Francesca Rizzi

Consulente Manageriale
& Sustainability Manager

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