Milano, 24 maggio 2018. Nuove ricette in menu, nuovo design e l’introduzione del “sushi dj” in cucina. Sono le caratteristiche distintive del neonato quinto shop a Milano, in via Raffaello Sanzio, di “This is not a sushi bar”, la catena di sushi delivery che per prima ha portato in Italia la consegna a casa o in ufficio della tanto amata cucina giapponese, rivisitandola in chiave non convenzionale.
Con la nuova apertura cambia l’approccio alla community di clienti: “pur rimanendo la catena milanese del sushi a domicilio – spiega Matteo Pittarello, co-fondatore e presidente di This is not – abbiamo voluto creare un ambiente più accogliente e funzionale rispetto agli altri quattro ristoranti per favorire il consumo in loco e per farci conoscere e vedere all’opera dalle migliaia di clienti affezionati che generalmente interagiscono con noi tramite sito, app o social media.”
Design per la ristorazione e sushi dj – Il passaggio da un design estremamente minimale a uno più articolato, realizzato per il nuovo negozio dall’architetto Andrea Langhi, incarna la volontà di raccontare attraverso forme e colori l’identità di This is not a sushi bar: non un ristorante etnico (a partire dal nome, non giapponese), non un ristorante tradizionale, bensì un luogo d’incontro, non solo virtuale, per una community non convenzionale. A caratterizzare la cucina è la console ergonomica studiata per i sushi men: un piano di lavoro che si sviluppa attorno ai cuochi e che permette loro di avere ingredienti e strumenti a portata di mano, semplificando la preparazione. “Siccome per noi preparare sushi è come combinare e assemblare note di gusto – spiega Jerome Fandiño, a capo della squadra di sushi men – adesso che abbiamo una vera e propria console studiata per noi hanno deciso di definirci sushi dj.”
Le ricette proposte dal ristorante, gestito da italiani e con in cucina personale in prevalenza filippino, non rispecchiano le aspettative dei puristi del sushi, ma sono frutto di sperimentazioni, contaminazioni e ispirazioni che si sono susseguite nel tempo. Il “menu privè”, ad esempio, compaiono l’uramaki Santa Monica, un inno all’avocado californiano, gli uramaki Broadway e Black Rainbow impreziositi dal sesamo placcato in oro alimentare e messo in risalto dal nero di seppia in cui è bagnato il riso e l’Hip Hip Urràmaki nato per festeggiare i 10 anni di attività racchiudendo in un unico roll i “pesci” più venduti fino a quel momento. Il primo piatto a comparire in menu è stato il cirashi sbagliato, ovvero una rivisitazione del noto piatto giapponese che vede unire gli ingredienti immancabili nella dispensa di uno studente o di un single: riso, tonno e maionese. La proposta gastronomica è studiata per soddisfare anche le esigenze di vegetariani (ad esempio l’uramaki green valley, con pomodori secchi e philadelphia) e vegani (con il futomaki vegan, un roll ripieno di insalata, avocado e cetriolo).
Con l’inaugurazione del quinto shop nasce l’uramaki Raffaello, un roll di riso con alga nori, salmone bagnato nel cognac, scaglie di cioccolato fondente, fragole, avocado, pepite di cioccolato e semi di sesamo dorati.
This is not. – “Unconventional sushi”, la frase che accompagna il marchio fin dalla sua fondazione nel 2007, non si riferisce esclusivamente alle ricette in menu oppure ai toni a tratti dissacranti della comunicazione, ma racconta la storia stessa di This is not, nata prima come digital company per mano di tre ex consulenti e poi diventata ristorante. Caratteristica principale è il delivery, gestito in modo centralizzato da un software sviluppato internamente, introdotto per il sushi a Milano molto prima della comparsa delle delivery app e prima che la consegna a domicilio diventasse un’abitudine. L’efficienza dimostrata dal sistema sviluppato per gestire processi, dati e ordini sta inoltre aprendo le porte alla nascita di una start-up tecnologica dedicata al delivery nella ristorazione. “Un altro motivo d’orgoglio – conclude Pittarello – è il fatto che i nostri consegnatori, in controtendenza rispetto a quello che raccontano oggi le cronache del settore, siano regolarmente assunti con stipendi commisurati all’importanza del loro lavoro: per i clienti che li accolgono a casa o in ufficio sono il volto e la voce di This is not.”
Storie di persone – Dare valore alle persone, infatti, è il principio programmatico alla base dell’attività di This is not e prende corpo attraverso quello che Pittarello e soci definiscono “hr liquide”, ovvero la possibilità di cambiare le mansioni e crescere all’interno del team a seconda delle capacità della singola persona. E’ il caso di: Jerome e Christian Tomas, entrati come sushi men e diventati coordinatori dello staff in cucina e soci di This is not; Carlo Napoleone, assunto come contabile e oggi responsabile operations and procurement; Vasco, reinventatosi consegnatore a cinquant’anni con un passato da attore e fotografo, che scatta le immagini per la catena.
This is not a sushi bar ha chiuso il 2017 con 1,4 milioni di fatturato e prevede una crescita tra il 15 e il 20% per il 2018, anno in cui aprirà un sesto ristorante a Milano, in zona Porta Romana, e un settimo nell’hinterland milanese. L’obiettivo per il 2019 è l’espansione in altre regioni del Centro-Nord. Nel corso degli anni, si sono aggiunti ai tre fondatori otto nuovi soci tra i quali Fabio Ionà, noto fotografo che opera nel settore dello spettacolo.
This Is Not A Sushi Bar | press@thisisnotasushibar.com